Quest’anno per la prima volta festeggiando il mio compleanno ho pensato: sono più i giorni andati che quelli che, presumibilmente, verranno. Ma sorprendentemente la mia constatazione razionale, pur incupendomi un po’, non mi ha rattristata più di tanto.
La morte si sa, prima o poi arriva: fa parte della vita.
Senza la morte non ci sarebbe la vita e non il viceversa.
Ho cercato quindi sul tema una poesia di un poeta indiano che lessi nella mia adolescenza: ricordo mi piacque allora moltissimo anche se credo che , quasi bambina, non ne abbia potuto afferrare appieno il significato. A quell’età si è così lontani dal traguardo finale da considerarsi quasi immortali.
…….. nel rileggerla oggi, da adulta, rilevo soprattutto il senso del tempo e del suo limite, che limite ha solo per chi vive.
So che il giorno verrà in cui
non vedrò più questa terra
e la mia vita da essa prenderà commiato
in silenzio, stendendo l’ultimo velo
sopra i miei occhi.
Eppure le stelle di notte veglieranno
il mattino sorgerà come prima
e le ore si alzeranno come onde del mare
portando in superficie piaceri e dolori.
Quando penso alla fine del mio tempo
crolla davanti a me la barriera del tempo
e nella luce della morte vedo il mondo
con i suoi tesori trascurati.
Straordinario mi appare il più umile luogo
e preziosa la più miserabile delle vite.
Non considero le cose
che ho desiderato inutilmente
e le cose che ho avuto
ma chiedo di poter possedere
ciò che ho sempre disprezzato e trascurato.
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Rabindranath Tagore (Calcutta 1861-Santiniketan 1941)
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